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ARGOMENTO: Storia del nostro territorio

Storia del nostro territorio 7 Anni 1 Mese fa #9906

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Come sapete, mi piace informarmi sulle cose che incontriamo nei nostri giri sulle colline, perciò voglio condividere questo breve estratto di una pubblicazione che ho trovato sule sito "quercianellasonnino.it", dove si parla sia della cava di Pietralta che della miniera Tobler di cui abbiamo visto sabato uno degli ingressi.
L'attività estrattiva di cava e miniera.

La storia economica di Quercianella ha avuto un unico, anomalo sussulto ai primi del '900, quello legato all'attività estrattiva di pietrame per l'industria del cemento, e del minerale di rame.
Dalla cava a cielo aperto di Pietralta, situata sulla pendice del colle Piastrone mt.186, che ben segnala toponomasticamente la propria caratteristica geologica, lungo i botri Rogiolo, Quercianella e Forconi, si iniziò ad estrarre già nei primi dieci anni del secolo, materiale per la produzione di cemento, per un quantitativo di 40.000 tonnellate l'anno. Il pietrame trasportato con una teleferica a carrelli o "paioline", veniva gettato in una chiusa o tramoggia, costruita nella baia del Rogiolo in muratura, e di qui, dai suoi boccaporti e lungo uno scivolo, veniva caricato su dei navicelli; questi, legati l'uno all'altro, simili a muli, venivano trainati, mare permettendo, da un rimorchiatore fino allo stabilimento di Livorno, anch'esso, come il terreno e la cava, di proprietà degli Orlando.
La società che sfruttò la cava di Pietralta fu la Cementeria Italiana Società anonima (n.530 del registro ditte della Camera di Commercio). La sua attività ebbe inizio l'8 maggio 1905 e dall'ultimo atto notarile iscritto nel registro, del 2 marzo 1944, si può dedurre che, sia pure sotto diverso nome, "Società anonima cementeria" (n.1730, Archivio 1508), sia stata in esercizio fino al dopoguerra; come peraltro è testimoniato da quanti ricordano ancora in quegli anni le "paioline" andare evenire e il lento traino dei barconi.
Nel primo anteguerra si pensò di trasportare questo materiale con ferrovia e di caricarlo mediante funicolari come era ancora visibile fino a pochi anni fa a S.Vincenzo. Ciò anche per meglio giustificare la richiesta di spostamento della stazione ferroviaria dalla prima sede ma pur sempre al di qua del torrente Chioma; come poi sarà fatto (Ciompi op. cit., pag.72) .
Di questo periodo restano poche ma leggibili testimonianze: a monte, nel bosco una parete di nuda roccia della cava di Pietralta ed alcuni ruderi di una casa, quella del Bacci, detto Astrille, il guardiano che vi abitò fino al '60, della polveriera e di un castro o porcilaia per maiali, nonché di una strada che ormai il bosco ha richiuso, ma ancora individuabile e nota ai cacciatori; strada che, si racconta, il medico condotto Dr. Piedi attraversò di notte con una torcia per prestare soccorso alla famiglia Bacci. E a valle, sul mare, i resti della struttura in cemento armato, la chiusa per il carico. Resti pericolanti, di cui i numerosi bagnati che oggi affollano il mare del Romito e i nuovi bagni del Rogiolo pare che non si preoccupino. Si tratta di un vero reperto di archeologia industriale, ma di impossibile recupero, fissato nel ricordo di alcune foto d'epoca di struggente bellezza (op. cit., pag.35).
La cessazione dell'attività nell'immediato secondo dopoguerra, restituì il porticciolo di attracco al castello di Sidney Sonnino e l'intera insenatura del Rogiolo ad un utilizzo più libero e consono alla sua natura.
Altra risorsa che ha segnato, sia pure brevemente, la storia economica contemporanea di Quercianella, è stata quella mineraria, circoscritta proprio entro il promontorio del Romito. Questo dopo le arenarie c.d. di Calafuria, presenta rocce del complesso ofiolitico (rocce verdi, contenenti talco, steatite e magnesite), brecce gabbriche tettonizzate dal colore rosso cinabro (visibili nei pressi della curva dell'Aurelia tra il ponte sul Rogiolo e il bivio per Montenero, e dopo il Castellaccio lungo la discesa verso Montenero) e diaspri, con numerose, rare ed importanti mineralizzazioni che hanno visto un tentativo di sfruttamento, come è avvenuto per il giacimento cuprifero del torrente Rogiolo da parte di una compagnia mineraria inglese, la Miniera Tobler. Di tale società non è stata rinvenuta alcuna traccia presso l'archivio storico della Camera di Commercio di Livorno; presumibilmente il suo fascicolo andò distrutto dai bombardamenti bellici che colpirono la sede della Camera di Commercio.
Testimonianza che, invero, visti gli scarsi esiti, svela più un tentativo esplorativo che un lungimirante investimento industriale, come invece lo fu per la non lontana miniera di magnesite estratta dalle rocce ofiolitiche della miniera situata sopra Fortullino, in direzione di Poggio S.Quirico (cui ci si può collegare, non solo storicamente, in quanto anch'essa compresa nell'area del Parco provinciale dei monti livornesi); e soprattutto per quella di rame di Montecatini Val di Cecina, la più importante d'Europa durante l'800; oggi completamente museificata all'interno della riserva naturale integrale di Monterufoli.
Dell'escavazione mineraria lungo il Rogiolo non disponiamo di dati statistici esatti circa l'inizio e la fine (prima della seconda guerra mondiale, visto che la società era inglese e quindi nemica) dell'attività di scavo, il valore dei giacimenti, l'entità del minerale ricavato e degli occupati, di certo almeno in parte anche locali; "qualcuno vi lavorava" ricordano gli anziani. Ma non dovrebbe essere stata un'attività dai cospicui investimenti e molto redditizia se di essa restano nel bosco qua e là poche tracce di scavo, di riparo, di depositi, e in particolare alcuni piccoli ingressi ancora visibili alle gallerie di escavazione. Di una di esse resta visibile, ai margini della cessa recentemente costruita nei primi anni 2000, lungo il Rogiolo, un angusto ingresso. Di tutte sarebbe auspicabile una completa ricognizione per una completa mappatura e ricostruzione storica, utilizzando allo scopo i maggiori conoscitori del luogo, i cacciatori. Una rilevazione cartografica da estendere agli altri pochi resti di costruzioni legate all'utilizzo del bosco.
L'abbandono della cave di pietra per il cemento e delle miniere di rame ha consentito un rapido e spontaneo recupero del bosco. In mancanza di foto aeree, forse disponibili presso l'Istituto geografico militare, si vedano, come documento di raffronto, le foto che nel libro del Ciompi evidenziano ampie aree prive di manto boscoso e già utilizzate da limitate destinazioni agricole e dai cantieri per la costruzione della ferrovia Livorno-Vada del 1908 (op. cit. pag.69).
Il botro del Rogiolo, che così significativamente ha segnato la storia del territorio di Quercianella, merita una particolare attenzione anche per la sua origine toponomastica. Esso prenderebbe nome, secondo l'autorevole conferma scientifica di Gianfranco Barsotti, dal ramarro o rogiolo come qui viene chiamato. Rettile non molto frequente che, evidentemente da tempo immemorabile, avendo scelto come area preferenziale proprio la valletta del botro per "crogiolarsi" al sole, ha colpito l'attenzione degli abitanti del luogo. Personalmente suggerirei una origine diversa del toponimo, riferendola alla radice stessa della parola, roggio e roggiolo: etimo arcaico di rosso, della tonalità simile alla ruggine, usato anche dal Pascoli ("Roggio nel filar qualche pampano brilla") che potrebbe far riferimento al colore cinabro delle rocce esistenti in abbondanza proprio lungo il botro, là dove non a caso fu aperta la miniera di rame e così ben visibili nella loro stratigrafia subito dopo il ponte sull'omonimo botro nel salire verso il Romito.
"Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo" Albert Einstein
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Storia del nostro territorio 7 Anni 1 Mese fa #9907

  • f@brizio
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Sempre dallo stesso sito, due vecchie foto di Quercianella nelle quali si vedono bene la tramoggia e le strutture per il carico delle pietre sui navicelli, sopra l'attuale stabilimento balneare del Rogiolo.
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Storia del nostro territorio 7 Anni 1 Mese fa #9908

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bellissime foto, quercianella senza la cementificazione selvaggia odierna.. solo quel castello nel bosco
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Storia del nostro territorio 7 Anni 1 Mese fa #9909

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Siamo sempre nella zona, perciò vi erudisco anche su un'altro ben noto punto d'interesse, riportando un brano del libro di Pietro Vigo su Montenero e dintorni
[...]proseguendo e inoltrandosi nella macchia, potrebbe giungere, deviando un po' a man sinistra, ad un punto ove i poggi declinano a formare una valle nascosta e silenziosa; e qui vedrebbe la così detta Casa dei Corsi, meta, anch'essa, delle passeggiate dei villeggianti. Un vecchissimo contadino che dimora in un abituro della macchia, non lontano dal luogo chiamato I Cinque Lecci, mi riferiva d'aver sentito raccontare da suo padre che in quella casa, perduta fra la solitudine del bosco, si erano ricoverati alcuni corsi, i quali abbandonato l'esercito di Napoleone I, non so in qual campagna, avevano fuggito, stando in quelle macchie, la pena dovuta alla loro diserzione, ed avevano malamente vissuto per qualche tempo, infestando quei luoghi. Il buon vecchio mi aggiungeva che prima di quei disertori, vi avevano trovato asilo altri Corsi, onde il nome della casa, fuggiti dalla loro isola nativa per odio della nuova dominazione francese, pochi anni dopo la celebre battaglia di Pontenuovo. Il Re di Francia, consapevole di queste evasioni dall'isola di Corsica e temendo che se ne avvantaggiasse la parte, ancor viva, di Pasquale Paoli, aveva chiesto al Granduca Pietro Leopoldo I, che non permettesse loro dimorare nelle terre toscane. I Corsi, in tal modo perseguitati, cercarono nascondersi in luogo appartato e di accesso difficile, non molto lungi dal mare, per poter così più agevolmente tentare uno sbarco nell'isola, ed erano perciò venuti tra le balze di Montenero, in una valle che si nasconde tra i boschi in luogo pauroso. Le notizie datemi con semplicità contadinesca, quanto ai profughi Corsi, nei primi tempi della dominazione francese in quell'isola, sono in qualche modo confermate dalla testimonianza dei documenti.
Sappiamo infatti che il Conte di Vergennes, regio Ministro, scriveva all'abate Niccoli Segretario delle Legazioni in Parigi, in data 30 settembre 1774, che si erano fatte nuove scoperte a carico dei Corsi rifugiati in Toscana, e che il nuovo Re di Francia Luigi XVI, confidando nei sentimenti di giustizia del Granduca ed anche nella parentela, era sicuro che egli avrebbe da allora in poi, rifiutato ad essi, che egli chiama scellerati, asilo e protezione, poiché se fosse stato loro permesso di trattenersi in Toscana, avrebbero potuto facilmente effettuare quanto delittuosamente tramavano a danno della Corsica (5). I banditi Corsi infatto, fra i quali si trovavano un Giovan Carlo Guiducci e Clemente Paoli, raccoglievano armi ed uomini e tentavano qualche insidia o improvviso assalto, contro i nuovi dominatori della Corsica (6).
Il Gabinetto granducale perciò si rivolgeva principalmente al Governatore di Livorno per mezzo di Innocenzo degli Alberti e ingiungeva lo sfratto di Giovan Carlo Guiducci che dubitavasi di esser uno dei principali capi delle congiure che si credevano tramate in Toscana, e segnatamente in queste parti marittime, e dei Corsi sospetti (7).
Così quanto per tradizione mi veniva riferito sulla Casa dei Corsi a Montenero, mi pare che possa trovar conferma nei documenti dell'Archivio livornese. Nulla di più facile che i profughi dell'antica Cirno, perseguitati in Toscana, non tollerati in questo suolo, si occultassero in luoghi meno accessibili; e fossero costretti a viver di rapine. Forse la fantasia impaurita creò paurosi fatti, e colorì il racconto di grandi eccessi commessi da costoro, che non potevano esser malfattori volgari, perché desiderosi di ridonar libertà alla loro isola nativa, caduta sotto la dominazione straniera. E così abbiamo risposto, come alle nostre ricerche è stato possibile, alla ragionevole curiosità di chi, passeggiando per i dintorni di Montenero e spingendosi fino alla Casa dei Corsi, volesse saper la ragione del nome di questo casolare abbandonato tra le folte
boscaglie.

(6) V. Note sur les excés commis par les bandits corses refugiés en Tuscane, Filza cit., p. 576.
(7) Ibidem Filza cit. p. 589.
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Storia del nostro territorio 7 Anni 1 Mese fa #9910

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Se qualcuno ha delle notizie storiche o naturalistiche su altri punti d'interesse che incontriamo sulle Colline durante i nostri giri, le pubblichi a beneficio di tutti gli altri.
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Storia del nostro territorio 7 Anni 1 Mese fa #9911

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Ad esempio, sento chiamare i ruderi in cima a Monterotondo in mille modi: "puì", "de puy" ecc.
Per chi vuol'essere informato e parlare (ma soprattutto scrivere) correttamente, ecco una breve citazione, sempre da P.Vigo (1902)
[...]verso ponente poi è il monte più basso di tutti, e ricoperto di pini, in posizione amenissima, chiamato per la sua forma Monterotondo, che da una parte è lavorato, dall'altro boschivo; ed in una vallata fra levante e, Mezzogiorno si vedono viti ed olivi. Ma l'aspetto del monte, mercé le cure del suo nuovo proprietario signor Delfino Dupouy che abbattuto il cadente mulino [a vento] costruito sul culmine vi ha edificato una deliziosa villa, è stato grandemente modificato, e il poggio stesso fatto comodo, accessibile ed ancor più ridente. Il Monte Rotondo non è che un basso colle il quale se non può dirsi proprio che sorga dal piano di Livorno, come scrisse il Mariti (3), è veramente separato da tutti gli altri.
Da non confondere questa villa con l'omonima villa Dupouy di Montenero basso, della stessa famiglia di mercanti/banchieri livornesi d'origine francese, nella quale soggiornò, tra gli altri, il poeta inglese G. Byron.
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Storia del nostro territorio 7 Anni 4 Settimane fa #9912

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Dopo l'escursione di ieri, nella quale Ugo ci ha guidato alla scoperta delle miniere abbandonate di Macchia Escafrullina, dell'impressionante diga sull'affluente del Fortulla, delle sorgenti ipotermali di Occhibolleri e della Padula (quest'ultima inserita in una monumentale lecceta), per i più incuriositi riporto un trafiletto estratto dallo studio preliminare del SIR del Monte Pelato, di cui fa parte questa zona, di Branchetti/Sammartino. (in allegato il documento integrale)
La frequentazione umana in epoca romana è al momento testimoniata da resti di laterizi e scarsi frammenti di vasellame, in località Poggio al Tedesco, Le Spianate e presso le sorgenti ipotermali di Occhibolleri e Padula. In quest’ultima località furono rinvenuti, nella seconda metà dell’Ottocento, abbondanti reperti costituiti da vasi, utensili e numerose monete di età romana, che attesterebbero una frequentazione della sorgente per scopi termali [12]. Al medioevo potrebbe essere riconducibile la presenza della chiesa di S. Giusto di Monteremo, di cui si è persa ogni traccia, ubicata secondo Virgili ad ovest del Poggio S. Quirico, non distante dal torrente Fortulla [13].
Per quanto concerne l’Età moderna una rappresentazione del territorio in esame è fornita dal plantario allegato all’Estimo di Castelnuovo della Misericordia (1795) dove compaiono interessanti toponimi derivati dal sistema di vita dell’epoca, ora legati all’economia del bosco (Porcareccia di S. Quirico alto, Carbonaia dei Cerri Bianchi, Piazza di Mattiolo, etc.) ora alla presenza di sorgenti di acque «minerali» (del Crocino, di Occhibolleri) [14].
All’età contemporanea risale il «Muraglione», possente diga costruita intorno alla metà dell’Ottocento nell’alta valle del Fortulla per raccogliere riserve d’acqua necessaria al funzionamento di alcuni mulini posti più a valle.
Allegati:
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In riferimento alle sole miniere, riporto un altro breve estratto e allego l'articolo integrale (per i meno pigri), pubblicato dall'Associazione “Amici della Natura Rosignano” in collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Rosignano Solvay.
Lo sfruttamento della miniera di Castiglioncello, insieme a quella di Campolecciano, seguì insieme le esigenze economiche della richiesta dell’industria siderurgica e quelle della pura ricerca mineralogica.
L’escavazione della magnesite raggiunse il suo apice nel 1919, con una produzione complessiva di quasi 36 mila tonnellate annue, circa il decimo del fabbisogno mondiale, il totale del fabbisogno nazionale. Alla fine degli anni ’30, dopo un periodo di lento ma progressivo calo dell’attività estrattiva, la scoperta di ricchi giacimenti di magnesite in America segna il tramonto delle miniere di Castiglioncello, che verranno aperte solo periodicamente dopo il 1937, fino alla totale chiusura dopo il 1943.
Oltre alle due miniere ricordate in precedenza, occorre accennare che il terzo più grande giacimento della zona, ancora parzialmente visitabile, si trova presso la miniera di ferro di macchia Escafrullina. Qui è possibile rinvenire ancora oggi magnesite, marcasite, opale nero-lucente, calcedonio bianco azzurrognolo e ocre colorate.
Questa, a differenza delle altre miniere, fu chiusa dopo l’estrazione di poche migliaia di tonnellate di minerale ferroso a causa della elevata alterabilità del minerale.
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