Ben dieci partecipanti, fiduciosi ed ignari di cosa li attendeva, si sono presentati alla partenza, due macchinate belle piene e via verso l'avventura.
31 Luglio 2010
Lasciati i mezzi, come al solito, a Foce di Terra Rossa, sulla strada del Passo delle Radici, avvio soft con la magnifica carrozzabile verso Foce di Campaiana, un dislivello discreto ma molto pedalabile grazie al fondo ottimo ed alla fresca ombreggiatura. L'andatura è quella della passeggiata, si ride e si scherza e tempo e kilometri passano velocemente. Un breve pit stop per rottura di catena, la mia (lo so che è alla frutta, ho già ordinato tutto nuovo...), poi più nessun intoppo fino alla Foce.
L'uscita dal bosco offre un bellissimo panorama, fotografie di rito con ciclisti, mucche e vitelli e la Pania di Corfino come sfondo, poi discesa veloce nel Parco dell'Orecchiella, fino al fontanone al quale arriviamo, addirittura, infreddoliti! Si riparte, dopo esserci approvvigionati al massimo d'acqua, per il lungo "mangia e bevi" nel bosco fino al guado delle Valli Calde. Fin qui si tratta del solito gradevole percorso, fatto più volte, che prevederebbe la discesa fino a Metello e la lunga risalita fino al rifugio La Foce ed il passo Focerella che permette di passare il crinale Tosco - Emiliano.
Invece, la novità: si risale a destra lungo la carrozzabile, ancora sconosciuta, del Rifugio del Prado. Sappiamo che essa termina al Rifugio, e che per guadagnare il crinale e la vetta del Prado ci sarà poco da pedalare e molto da spingere...
La strada si arrampica costante e, ancora una volta, il fondo ottimo e per gran parte in ombra permette un buon ritmo. Qualche problemino di intorpidimento al fondo schiena mi fa fare qualche decina di metri a piedi: non sono abituato a pedalare salite così lunghe e costanti, e oggi ne stiamo facendo il pieno.
Nei tratti fuori dal bosco la vista è stupenda, la luce accecante regala una tonalità quasi azzurrina alla infinita gamma dei verdi di boschi e pratoni; sullo sfondo dietro di noi le Apuane e davanti, anzi sopra di noi, la mole incombente del Prado e de Monte Vecchio. Alla nostra sinistra si vede benissimo La Foce, dove saremmo passati facendo il percorso "tradizionale", e ci rendiamo conto facilmente che stiamo andando ben oltre...
Finalmente si esce definitivamente dal bosco, siamo a poche decine di metri dal piccolo rifugio e la strada finisce qua, a quota 1750.
Ci sediamo al riparo della costruzione, ormai stanchi e anche affamati, e decidiamo di dare fondo alle provviste. Il sole scotta, il vento è piuttosto fresco, il panorama verso valle è fantastico, i panini mi sembrano buonissimi; il rifugio, alle nostre spalle, ci ripara dal vento, ma forse anche dalla vista minacciosa di quegli ultimi 250 - 300 metri di dislivello da superare a spinta, per i quali non si intravedono sentieri degni di questo nome.
La pausa, come tutte le cose belle, finisce e si riparte baldanzosi verso il monte. Il sentiero del trekking segue un canalone verso nord ma si vede benissimo che, nell'ultimo tratto, sale per una pietraia ignobile che, con le bici, sarebbe difficile superare.
Ognuno di noi segue, in pratica, una via diversa dagli altri, frutto della scelta personale tra rapidità di ascesa e fatica sopportabile. Così, in ordine sparso, andiamo su pian piano, uno strano gruppo in cui ciascuno è da solo con se stesso e con la propria anima, interrogandosi sui misteri della vita e sui perché: soprattutto sui perché… e su chi ce lo fa fare.
Alex, grazie alle lunghe leve e alla prolungata esperienza montanara, sceglie la via più favorevole e meno frequentata che lo porta a scomparire oltre la cresta. Raggiungiamo il sentiero, ma è quasi peggio del campo di mirtilli. La mia attenzione, salendo, è anche rivolta alla fase successiva, cioè il sentiero di crinale che dovremmo percorrere dalla vetta del Prado in poi: per sentito dire dovrebbe essere abbastanza fattibile, ma visto da sotto mi pare poco probabile.
Finalmente, in cima all'ennesima cresta (dalla quale si vede un'altra cresta e così via), si rivede Alex: è sulla vetta ed agita le braccia al cielo in segno di vittoria! E' ancora un bel po' lontano, ma questa immagine ci risolleva il morale e ci sprona, ancora poche centinaia di metri e, con il fiato corto le gambe insugherite, raggiungiamo la tanto agognata cima della Toscana, il monte Prado. La vista spazia a 360 gradi, anche di più se uno fa due giri... no, forse è l'euforia (o l'ipossia?).
Giunge il momento di ripartire. Il sentiero di cresta, visto da qui, non sembra male. I più azzardosi si gettano nel primo tratto, abbastanza ripido, con una certa circospezione, poi ci prendono gusto e comincia la festa: un lunghissimo sentiero sospeso tra il cielo ed i ripidi pendii, solcato da molti scarponi umani e zoccoli animali ma, son convinto, da troppo pochi copertoni.
Ogni tanto trattengo l’adrenalina e mi fermo, il tempo di mangiare con gli occhi le immagini poco consuete dei bikers che mi precedono o quelli che mi seguono, impegnati lungo questo tracciato spettacolare.
Pochi e molto brevi i tratti non pedalabili, il verso è quello giusto con una pendenza a favore interrotta da brevi salitelle. Per un lungo tratto si viaggia intorno ai 1900 metri, e si gode.
A Bocca di Massa tagliamo verso destra e scendiamo dal crinale verso il rifugio Cella, lungo un difficile sentiero molto scavato che avevamo utilizzato l’anno scorso per salire e raggiungere il Battisti da un sentiero diverso: in quel momento ci era sembrato di aver spinto le bici chissà quanto, ma ripensandoci ora ci fa quasi ridere. Tutto è relativo.
Siamo al rifugio Cella, 1650 metri s.l.m., ci sembra di essere a valle ma c’è ancora molto da scendere fino ai 1300 di Casone di Profecchia, prima su stradone sterrato, poi su una improvvisata deviazioni in single treck nel bosco, molto bello e, nella parte finale, veloce e adrenalinico per gli scalini adatti ad essere saltati. Infine giù dalle piste da sci di Casone per fermarsi a prendere un caffè in paese. Poi alle auto su asfalto ed il rientro.
Io credo che questa stagione, la quindicesima dell’attività “ufficiale” del nostro gruppo, partita un po’ in sordina con qualche problemino individuale di alcuni iscritti e qualche rinvio o soppressione di iniziative per motivazioni varie o maltempo, stia pian piano riprendendo “sapore”.
L’Elba e l’Amiata sono saltate, ma la Rocca di San Silvestro è stata memorabile, così come Cala Violina e Livorno –Sassetta. Che dire poi dell’Infernaccio? Un successone.
Ora, con le ultime due uscite “semi-adventure” della Media Valle del Serchio e della Garfagnana, ci siamo riportati su uno standard di eccellenza che ci fa ben sperare per il prosieguo del nostro calendario.